NEXT TO NORMAL
MUSICA Tom Kitt
LIRICHE E LIBRETTO Brian Yorkey
LIRICHE e LIBRETTO ITALIANI Andrea Ascari
ADATTAMENTO Marco Iacomelli
REGIA Marco Iacomelli
SUPERVISIONE MUSICALE Simone Manfredini
DIREZIONE MUSICALE Riccardo Di Paola
SCENE Gabriele Moreschi
COSTUMI Maria Carla Ricotti
COREOGRAFIE Gillian Bruce
DISEGNO LUCI Valerio Tiberi
DISEGNO FONICO Armando Vertullo
REGISTA COLLABORATORE Francesco Marchesi
PRODUZIONE DISCOGRAFICA Donato Pepe
CONSULENZA ORGANIZZATIVA Alessio Imberti
COMUNICAZIONE Sara Maccari
COMMUNICATION DESIGNER Gaetano Cessati
PRODUTTORI Andrea Manara, Davide Ienco
PRODUZIONE STM in collaborazione con Compagnia della Rancia
CAST
DIANA Francesca Taverni
DAN Antonello Angiolillo
GABE Luca Giacomelli Ferrarini
NATALIE Laura Adriani
HENRY Renato Crudo
DR. FINE/DR. MADDEN Brian Boccuni
www.nexttonormal.it
NOTE
È lunedì sera, e anche a New York sono pochi i teatri aperti. Per tutta la settimana ho assistito ai più grandi successi tradizionali in scena a Broadway, ma non voglio rinunciare alla mia ultima serata a Manhattan. Così, passeggiando con l’amico che mi ha accompagnato in questo viaggio, ci imbattiamo nel teatro che ospita un famoso titolo, che avevo già visto a Londra anni prima, e che, nonostante sia lunedì, è aperto per la recita. Di fronte a questo teatro, però, ce n’è un altro, anch’esso aperto.
Lo spettacolo mi è completamente nuovo: i manifesti hanno un gusto contemporaneo, il tratto grafico è pulito ed efficace. Il cartellone annuncia che il libretto ha vinto il Pulitzer e la partitura un Tony Award. Non resisto: punto sul titolo sconosciuto e così diverso dagli altri. Esco da quel teatro due ore più tardi, dopo aver riso, e pianto, e di nuovo riso, e di nuovo pianto, consapevole di aver visto qualcosa che, prima di allora, non esisteva.
NEXT TO NORMAL è una rivoluzione nel mondo del teatro musicale.
È teatro come ce l’ha raccontato Tennessee Williams, scosso da arguta ironia, con la forza di una partitura musicale straordinaria e vicina anche al gusto del pubblico più giovane.
Mettere in scena NEXT TO NORMAL non è soltanto rappresentare uno spettacolo, ma fornire una chiave di lettura del reale, partendo da un’esperienza teatrale. L’allestimento di questo straordinario racconto permette al pubblico italiano di apprendere una nuova via del medium teatrale musicale: è la prova che questo genere può affrontare tutti i temi, ed essere un efficace strumento di discussione e di riflessione sulla società contemporanea.
MARCO IACOMELLI
BOZZETTI • FOTOGRAFIE • VIDEO
RASSEGNA STAMPA
In un momento in cui l'arte del teatro è in profonda mutazione e sta riacquistando anche la parola perduta, questo spettacolo di parole e musica, ma che non è un musical, di azione e pensiero, di commedia e dramma, si pone al crocevia di un vasto quadro di linguaggi espressivi mescolati che danno alla fine un brillantissimo risultato sotto il profilo drammaturgico, scenografico, musicale, attoriale e guardando al pubblico giovane. Infatti Next to Normal appartiene al Futuro della scena ma tenendo presenti le virtù di un Grande Passato.
MAURIZIO PORRO
12 marzo 2015
Musical! Il magazine del teatro musicale
Una piccola rivoluzione!
di LUCIO LEONE
È successo qualcosa al Teatro Coccia di Novara: una piccola rivoluzione ha preso il via. Davanti ai nostri occhi di spettatori attenti -o forse sarebbe meglio dire “rapiti”- questa piccola rivoluzione si è fatta forte dell’eleganza di un regista giovane, del coraggio di due produttori, dell’energia di un musical vincitore di un Pulitzer, del talento di un cast semplicemente perfetto e già da oggi le cose non saranno, non potranno più essere le stesse.
Un regista giovane dicevo (a riprova che l’Italia è un paese di vecchi solo se si decide di ignorare il talento delle nuove leve), Marco Iacomelli, che al suo già ben nutrito carnet professionale può aggiungere una pietra preziosa con la messa in scena di questo Next To Normal. La prima sfida era il confronto con non uno ma ben due diversi allestimenti, roba da far tremare i polsi: la versione americana vincitrice di tre Tony con Alice Ripley e Aaron Tveit e quella, ricca di attenzione e cura per i dettagli, che il suo mentore Saverio Marconi aveva firmato (con la regia associata di Iacomelli stesso) la scorsa estate a Bologna. Ed è riuscito a mantenere una propria ispirazione originale, a dire e dare del suo malgrado appunto ci fossero quelle due corazzate splendide (ma potenzialmente ingombranti) come riferimento. Le idee registiche si sono sposate con la cura per parole e movimenti che ha saputo suggerire ai suoi attori. Precisione, attenzione, pulizia... il tutto reso con una eleganza assoluta. E con una assoluta verità: i ragazzi non recitavano “da ragazzi”, lo erano. Il linguaggio (del recitato e delle liriche) non imitava quello parlato, lo era. I movimenti non erano teatrali, ma “veri”, erano gesti e movimenti di uomini e donne, giovani e adulti che si confrontavano con la vita, non con una storia.
Già, la storia. Che è quella di una famiglia normale che normale non è. Che al limite vorrebbe esserlo, o almeno “quasi un po’ normale” cercando di convivere con la malattia mentale della madre (bipolarismo e schizofrenia con una spruzzo di depressione, tanto per gradire). Una famiglia con dei segreti, delle comunicazioni difficili, con delle cose non dette o affrontate come tante, o forse come “tutte” perché se è vero come scriveva Tolstoj che ogni famiglia è infelice a suo modo, la stessa frase rende di fatto tutte le famiglie infelici uguali nella diversità. E qui torna in gioco la rivoluzione grazie all’audacia di Andrea Manara e Davide Ienco (produttori coraggiosi e “pionieri”) che portando in scena in Italia questo testo rimettono a posto una volta per tutte la questione Musical, che non è - o almeno non dovrebbe essere - una sottomarca del Teatro. Ci sono musical fatti bene e altri fatti male e di conseguenza si dovrebbe parlare solo di buon Teatro e cattivo Teatro. Musical di intrattenimento, altri di nicchia, da camera, mastodontici o con soli due attori in scena, e ognuna di queste categorie vede al proprio interno titoli che hanno maggiori affinità con corrispondenti spettacoli di prosa appartenenti alla stessa categoria che con altri “musical”. Quindi se ci abituiamo a paragonare My Fair Lady a una commedia di Noel Coward e Next To Normal a una di Sam Shepard un poco alla volta il pubblico che si fa andare bene spettacoli faraonici e inutili e snobba gioielli “off” smetterà di essere prigioniero di una categoria. E chi ama il buon Teatro potrà godersi del buon Teatro a prescindere che il personaggio si racconti con una canzone o un monologo, come succede ovunque nel mondo tranne qui. Come forse succederà grazie a questa piccola rivoluzione del mettere in scena in Italia un musical che parla di problematiche vere, con dinamiche vere, dove una famiglia alterna momenti difficili ad altri leggeri, come facciamo tutti quando ci aggrappiamo a uno scampolo di risata o a un momento di umorismo per sopravvivere a un dolore. Nella realtà.
E poi c’era il cast. A cominciare da Francesca Taverni. Che ha reso memorabile il personaggio di Diana, al punto che mi è impossibile in questo momento pensare ad un altro volto al posto del suo per quel personaggio. Che si trattasse di affrontare la malattia, o di discutere-parlare-litigare con uno dei membri della sua famiglia, di cantare la propria visione del mondo (ma questa donna quante sfumature riesce a dare con la voce? quante note riesce ad accarezzare mentre canta una melodia?) o anche semplicemente di camminare a piedi nudi sul palcoscenico, la sua presenza è magnetica, e sembra aver inventato un modo diverso per sfondare la quarta parete con le emozioni per costringere lo spettatore a immedesimarsi con lei. Antonello Angiolillo dal canto suo è del tutto presente al ruolo di marito innamorato, esaurito dal compito di assistere la moglie malata e di conseguenza manipolatore suo malgrado. La sua parte era estremamente complicata perché se il testo di Brian Yorkey richiedeva una recitazione naturale, la partitura di Tom Kitt era nella migliore delle ipotesi decisamente impegnativa, ma il risultato è stato eccellente. Lo stesso dicasi di Luca Giacomelli Ferrarini, dotato di una incredibile duttilità vocale che gli permette di spaziare tra generi di musical completamente diversi adattandosi di volta in volta al ruolo con estrema facilità. Di fianco a questi tre performer restare all’altezza era cosa difficile, ma Renato Crudo, Laura Adriani e Brian Boccuni sono stati capaci di mantenere altissimo il livello, e benché siano tutti e tre giovani non si può non apprezzare e sottolineare la maturità con cui hanno risposto alle esigenze delle rispettive parti e alle indicazioni del regista. Gli applausi, strameritati e scroscianti, ne sono stata la riprova.
Ho già ricordato la bellezza delle scene e delle luci (rispettivamente a firma di Gabriele Moreschi e Valerio Tiberi), manca solo una menzione ai costumi così “normali” di Maria Carla Ricotti, alle traduzioni (impeccabili, ispirate) di Andrea Ascari, alle coreografie di Gillian Bruce e alla supervisione artistica di Saverio Marconi. Anche il loro, preziosissimo, contributo è stato essenziale a quella piccola rivoluzione che ha preso il via ieri sera in un teatro di Novara per merito di un regista giovane, di due coraggiosi produttori, di un musical dirompente e di un cast dal grande talento per cui il Musical in Italia, già da oggi non sarà più lo stesso.
11 marzo 2015
Blastingnews - Cultura e spettacoli
Next to normal, un'anteprima nazionale ben riuscita al Coccia di Novara
di SEBASTIANO DI MAURO
L'anteprima nazionale di Next to normal al Teatro Coccia di Novara, dello scorso sabato 7 marzo, ha avuto un larghissimo consenso di pubblico e di critica ed è quindi pronta per essere replicata ancora sui palchi dei teatri italiani. Next to Normal, uno spettacolo nato nel 1998 come un workshop di 10 minuti dal titolo Feeling Electric, non è tratto da nessun libro o film di successo,ma è la versione italiana di un musical del 2008, con libretto e liriche di Brian Jorkey e musica di Tom Kitt, debuttato a Broadway nell'aprile del 2009, dove è rimasto in scena fino al 2011.
Questa versione è prodotta da Andrea Manara e Davide Ienco per STM di Novara, in collaborazione con Compagnia della Rancia e la supervisione artistica di Saverio Marconi. Ma è indubbia l'impronta registica di Marco Iacomelli, che dopo aver firmato regie importanti insieme a Saverio Marconi, continua la sua sfida, vincendo sempre per le originali trovate registiche, che solo un talento sopraffino come il suo può raggiungere, oltretutto accompagnato da un grande dote dell'umiltà, non affatto scontata nel suo settore.
Da non sottovalutare le musiche originali che con la forza espressiva tipica del rock, grazie anche all'ottima direzione musicale di Riccardo Di Paola e la supervisione di Simone Manfredini, danno carattere alle scene altrettanto forti. Entrando poi nel cuore dell'opera scopriamo le emozioni che è capace di produrre per il pubblico in una serie infinita di sfumature, perché questo musical, come raramente succede, racconta situazioni verosimili, che quotidianamente si consumano tra le mura domestiche, non sempre "turris eburnea", ovvero rifugio sicuro per chi ci vive.
Protagonista Antonello Angiolillo, nel ruolo di Dan, che in questa interpretazione appare molto cresciuto, sia per la voce che per la presenza scenica, rispetto al ruolo assunto in "Priscilla la Regina del deserto". Ancora una volta il ruolo di padre che lui affronta andando oltre la normale capacità attoriale di sapere entrare ed uscire in un personaggio, ma esprimendosi con passione e interiorizzando questa complicata vicenda, che vive in scena. Altra protagonista Francesca Taverni, nel ruolo di Diana, con la sua interpretazione ha saputo dare perfetta, anche grazie al suo timbro di voce, espressività ad un personaggio non facile e in alcune scene, a tratti, appariva visibilmente compunta dal testo, ben oltre la finzione scenica.
Ottima l'interpretazione quella di Luca Giacomelli Ferrarini, nel ruolo di Gabe, che ha dato carattere forte al suo etereo personaggio, imprimendo la giusta forza per far scaturire le emozioni percepite dal pubblico. Altrettanto bravi Laura Adriani e Renato Crudo, nei rispettivi ruoli di Natalie e Henry, che con la loro interpretazione hanno dato ai due personaggi la giusta forza espressiva e l'equilibrio tra il dramma e la tenerezza di alcuni momenti, in cui, soprattutto la voce di Renato Crudo, esce sicura, fresca e raggiunge il cuore del pubblico.
Infine Brian Boccuni, nel doppio ruolo del dr. Madden e dr. Fine, il più giovane del cast, grazie alla sua presenza scenica, ha saputo dare anima a due personaggi cinici e freddi, rendendoli credibili e unendo la sua vocalità ha provocato le giuste vibrazioni. Per finire un accenno alla vicenda narrata in scena da Next to Normal che non è affatto il caso eccezionale, ma purtroppo accade nella realtà di tante famiglie con molta più frequenza di quel che si crede, nonostante poi si compia ogni sforzo per far apparire integre le facciate mentre poi all'interno delle case, ma forse di più nell'interiore di chi ci vive si consumano situazioni, spesso insostenibili che poi talvolta sfociano nei fatti di cronaca.
9 marzo 2015
Arte-Spettacolo.com
Next to Normal: le declinazioni del dolore e dell'amore
di FRANCA BERSANETTI
L'emozione di una prima in un teatro bellissimo. L'impatto dirompente di uno spettacolo potente e innovativo. La forza e il talento di sei performer e di un cast tecnico di altissimo livello. A volte capita che tutte queste cose coincidano magicamente e questo è successo il 7 e l'8 marzo 2015 al Teatro Coccia di Novara, grazie alle prime due indimenticabili repliche della versione italiana di Next to Normal.
Negli Stati Uniti questo spettacolo, creato da Brian Yorkey e Tom Kitt, ha fatto incetta di premi, da tre Tony Awards al prestigioso Pulitzer. Da noi arriva grazie al regista Marco Iacomelli, con la produzione di Andrea Manara e Davide Ienco, in una collaborazione tra la STM (Scuola del Teatro Musicale di Novara) e la Compagnia della Rancia. Un progetto voluto con passione e affrontato con coraggio, perché l'esperienza che Next to Normal offre al pubblico non ha molto a che fare con l'intrattenimento. Al contrario si tratta di un tipo di teatro che colpisce visceralmente, che costringe a pensare. Soprattutto obbliga a sentire. Le sensazioni che suscita restano impresse addosso come tatuaggi. Le si porta via con sé, rimangono a sedimentare dentro. Ognuno di noi vi può trovare frasi, momenti, espressioni che ci appartengono e che risuonano in qualche modo nel nostro vissuto personale. Su quel palco ci sono sei persone che provano sentimenti universali, veri, sperimentati da tutti.
La storia della famiglia Goodman esprime le declinazioni del dolore. Un dolore che nasce da lontano e che, come un sasso gettato in un stagno, continua a creare cerchi che si allargano e vanno a toccare e turbare cuori e anime. La negazione e l'illusione, l'infelicità di non essere visti, la fatica di cercare di salvare il salvabile, l'ostinazione di vivere, ad ogni costo. E si declina anche l'amore. Di coniugi stanchi, di giovani innamorati, dei genitori, dei figli. L'amore che è stato, l'amore che ancora può essere. Quello che non può tornare, quello che ancora può crescere. L'amore che non vuole mollare, che diventa tenacia vorace, ragione di esistenza, bisogno profondo.
Impegnativo, difficile, portare su un palcoscenico tutto questo, in un allestimento quasi completamente privo di recitato in prosa, affidandosi a circa quaranta canzoni di impianto rock, complesse sia a livello vocale che nei significati. Ma, fidatevi, Next to Normal riesce nell'impresa, anche nella versione per l'Italia. Merito in questo caso dell'ottimo adattamento dei testi realizzato da Andrea Ascari, che rispettano quelli originali, così come la scenografia (curata da Gabriele Moreschi), ricavata su tre piani (reali ma anche metaforici) come quella di Broadway. Citerei anche il contributo della coreografa londinese Gillian Bruce.
Poi loro, i sei personaggi protagonisti e i fantastici performer che ne vestono i panni. Brian Boccuni interpreta con efficacia il doppio ruolo del dottor Madden e del dottor Fine, i medici che si occupano della bipolarità di Diana Goodman. La sua entrata in scena come dottor Fine è a dir poco prorompente e di sicuro non si scorda.
Laura Adriani e Renato Crudo sono rispettivamente Natalie Goodman, la figlia, e Henry, il suo ragazzo: bella, fragile e arrabbiata lei, dolce e già dotato di una tenera maturità lui. Perfetti nei loro ruoli, passano da momenti che fanno sorridere ad alcuni davvero toccanti, che prendono alla gola. Bravi.
Arrivo ad Antonello Angiolillo (Dan Goodman, il padre), Francesca Taverni (Diana Goodman, la madre) e Luca Giacomelli Ferrarini (Gabe Goodman, il figlio): per quello che mi riguarda il trio delle meraviglie. I tre personaggi e artisti che più hanno toccato le mie corde personali. Le loro voci armonizzavano insieme in maniera emozionante, più di una volta sentirle intrecciarsi mi ha dato i brividi. Angiolillo mi ha colpita per la sua resa semplice e vera di un uomo che si ritrova solo a cercare di mantenere unita la famiglia in cui lui ha sempre creduto. Forza e debolezza al contempo. Francesca Taverni meravigliosa: voce cristallina e potente, una presenza scenica che da sola bastava a riempire il palco, la responsabilità di interpretare una donna bipolare ferita da uno dei dolori più atroci che possano toccare in sorte. Infine Luca Giacomelli Ferrarini, un attore che ha la particolarità di incarnare i personaggi anche con la fisicità, indossandoli come vestiti. Il suo Gabe, affamato di vita e di amore, con quei capelli lunghi e biondi esaltati dalle luci e i movimenti ambigui, è un po' l'angelo e il demone della storia. Mi ha ricordato uno scritto di Alda Merini: «Niente per una donna è più simile al paradiso di un figlio che le farà sognare l'amore per sempre». Ecco Gabe è veramente questo per Diana. Il sogno di un amore per sempre. Un sogno che è anche incubo. Un paradiso che diventa anche inferno.
Splendidi. Tutti quanti. Un cast scelto alla perfezione.
Due repliche di grande successo, applausi a non finire, ben meritati.
Ora urge un tour nazionale. É assolutamente necessario che l'Italia intera abbia l'opportunità di conoscere la famiglia Goodman, di sorprendersi ed emozionarsi e di apprezzare il lavoro di Iacomelli, dei suoi attori e dei suoi collaboratori. Io sarò sicuramente tra coloro che torneranno più volte a vederlo. Ne vale la pena.
9 marzo 2015
Riflettori su...
Next to normal: la recensione di Silvia Arosio
di SILVIA AROSIO
Per chi fa il mio mestiere, a volte il rischio é di “assuefarsi” al teatro.
Si vedono gli spettacoli in maniera troppo giornalistica, con occhio critico, alla ricerca del difetto e del pregio, cercando di cogliere i testi, le voci, le luci, i costumi e soprattutto l'artista dietro al personaggio: e spesso, ahimè, lo si coglie.
Per fortuna, poi, ci sono spettacoli che ti danno la scossa. Non tanti, ma alcuni ci sono e ti riportano violentemente al ruolo di persona e non solo di critico, travolgendoti con le emozioni, facendoti di nuovo capire perché hai scelto di fare questo bistrattato e sottopagato lavoro. La scossa. Feeling Electric.
NEXT TO NORMAL è riuscito a lasciare la stampa presente alla prima del teatro Coccia di Novara senza parole e, per una volta, tutta concorde.
Qualcosa di nuovo, per l'Italia. Di provocatorio, di dirompente, di violento e delicato, di vero.
Di follia, in teatro, si è sempre parlato, da Shakespeare a Pirandello, ma nel musical, in questi termini, in Italia, no. Next to Normal nasce nel 1998 negli Stati Uniti come un workshop di soli dieci minuti intitolato “Feeling Electric”. Dieci anni dopo il passo tra la prima rappresentazione Off e la consacrazione a Broadway è breve: il musical debutta al Booth Theatre nella primavera del 2009 e una versione speciale dello spettacolo viene twittata in brevi messaggi da centoquaranta caratteri, ognuno fino al mattino del 7 giugno, quando - dopo ben undici nomination - vince tre premi ai Tony awards del 2009. Già in questo si evince la forza dirompente, moderna e innovativa di Next to Normal.
L'illuminato Marco Iacomelli lo ha visto a Broadway ed ha deciso di impiantare il seme in Italia.
Next to normal, nella sua versione italiana, approda in Italia grazie al progetto della STM in collaborazione con Compagnia della Rancia, con la regia di Marco Iacomelli e la produzione di Andrea Manara e Davide Ienco.
La famiglia Goodman, quindi, prende vita in Italia, formata da una mamma e moglie malata di sindrome bipolare, Diana/Francesca Taverni (Diana dal latino dius, "della luce", da dies, "[la luce del] giorno"), arcaico divios per cui il nome originario sarebbe stato Diviana; protettrice delle donne, cui assicurava parti non dolorosi), un padre, Dan Goodman interpretato da Antonello Angiolillo; un figlio, Gabe Goodman, i cui panni sono indossati da Luca Giacomelli Ferrarini; una figlia, Natalie Goodman, in questo ruolo Laura Adriani.
Attenzione: ho detto prende vita, perché la famiglia rappresentata sul palco appare assolutamente vera e reale e non verosimile.
Seguendo il dramma, raccontato in musica, con brani rock e pochissimo parlato, ci si dimentica che Diana è Francesca Taverni: quello che vediamo è davvero la signora Goodman.
Il pubblico segue la vicenda senza fiato, con una tensione continua, stemperata dall'ironia, che si riscontra anche nella vita reale, per affrontare i piccoli ed i grandi drammi del quotidiano. Se il libretto pare scritto da uno psicologo clinico e la traduzione, cosa rara, è piacevolissima nelle note rock (Traduzioni liriche Andrea Ascari, Adattamento libretto Marco Iacomelli), la drammaturgia perfetta prevede colpi di scena che lasciano lo spettatore tra color che son sospesi. Un inferno psicologico si redime nella catarsi di vedere rappresentati demoni e spettri che, in varie misure, ognuno di noi ha, fino al finale quasi dantesco del “Luce sarà”.
In questo musical, troviamo il disagio mentale, il disagio giovanile, l'indifferenza moraviana e l'incomunicabilità, il dramma della droga e degli psicofarmaci, le generazioni a confronto e per ultimo, ma non per ultimo, l'amore ed il troppo amore.
Il cast è stupefacente, inteso nel termine più duro di droga, e non solo perchè (anche) di psicofarmaci si tratta: non potrei, infatti, immaginarmi altro cast differente da quello che è stato scelto.
Francesca Taverni è una vera dea in scena, nella sua umiltà e nel suo essere dimessa: domina il palco a piedi nudi o in tacchi piccolo borghesi, ci porta con lei nel suo cervello che si liquefa, ci fa anelare i monti e la risalita e ci porta su e giù con la sua voce dolce e potente insieme.
Accanto a lei, il marito sempre presente Dan/Angiolillo, che, se meno interessante sulla carta, ci mostra aspetti psicologici velati ma decisi: Antonello è riuscito ad andare a fondo di questo personaggio e ci fa intuire il dramma nel dramma, dell'uomo che vuole aiutare ma non può (o fa troppo?). Natalie, la figlia, interpretata dalla giovane ma incisiva Laura Adriani, disperata nel voler attirare l'attenzione dei suoi, la ragazza invisibile che prima cerca di farsi notare con la perfezione e poi con lo sbando, supportata dal ragazzo “perfetto per lei”, il giovane Henry, interpretato dal bravissimo Renato Crudo.
L'appoggio esterno sono i dottori, il Dottor Madden e il Dottor Fine, doppio ruolo interpretato da Brian Boccuni, l'appiglio della scienza a cui tutta la famiglia cerca di appoggiarsi. E, volutamente lasciato per ultimo, un figlio, Gabe Goodman, l'arcangelo Gabriele interpretato da un grandioso Luca Giacomelli Ferrarini, amorevole, presente, perfetto figlio, con quella giusta dose di follia ed ambiguità (ricordate Mercutio?), che incarna le paure di tutti noi: la fisicità e l'interpretazione del giovane Luca spiazzano tanto sono perfette. Il tutto in una scenografia lineare e semplice (di Gabriele Moreschi) che ricalca in toto l'originale, quasi a voler incasellare la famiglia ed essere il contraltare rigido e regolare della confusione mentale dei protagonisti: tenete d'occhio il terzo piano, quello più spirituale. Poche e decise le coreografie della grande Gillian Bruce ed un disegno luci che è parte integrante dello spettacolo, quasi entità a sé, che si disegna nei colori dello sfondo, della mano esperta di Valerio Tiberi.
La regia di Marco Iacomelli, innamorato dello spettacolo, unisce tutto ciò con dettagli nei movimenti e nelle controscene, che danno fluidità e ritmo senza nessuna perdita di energia.
Già si sente la nostalgia di questo spettacolo perfetto (in attesa del cd che uscirà), che ha avuto per ora solo due date al Coccia di Novara, teatro di allestimento.
Next to normal è nato, ma la famiglia Goodman deve crescere e viaggiare. L'Italia deve avere la possibilità di poter capire che il teatro è arte, messaggi, evento, catarsi e crescita, anche nel musical.
L'interesse c'è, la critica è concorde, il pubblico rapito: non resta che aspettare il lavoro di Iacomelli in tutti i teatri d'Italia.
Il seme impiantato nel terriccio italiano deve sbocciare.
Nel mio piccolo, tutto il sostegno e presto ne parleremo in un'intervista allo stesso regista. Il attesa dell’auspicato tour, preparatevi a due ore e mezza di pure Teatro, anzi, di vita.